Comunichiamo solo con donne (?)

"L’immagine femminile con cui l’uomo ha interpretato la donna è stata una sua invenzione".

a cura di Elisa Schiani, 5M

A cento anni dalla nascita di Helmut Newton, celebre fotografo noto per i suoi studi sul nudo femminile, il Museo dell’Ara Pacis di Roma, dal 18 ottobre 2023 fino al 10 marzo 2024, ospita la mostra “Helmut Newton. Legacy”, che offre un ampio sguardo attraverso circa 250 scatti sulla vita professionale di uno tra i fotografi più rivoluzionari e provocatori di sempre.

Newton sviluppò il suo stile nella Parigi degli anni ‘60, dove iniziò a fotografare le sue modelle, singolarmente o in gruppo, in pose erotiche ed eleganti, con un’accezione quasi giocosa. I suoi scatti di moda e di nudo pongono al centro la donna, figura dominante e sostanziale delle sue fotografie. Il modo innovativo di rappresentare la figura femminile e l’erotismo rivoluzionario proprio del suo stile lo hanno portato a collaborare con importanti nomi della moda, come Yves Saint Laurent, Gianni Versace o Karl Lagerfeld.

È possibile individuare tre foto della mostra che esprimono alcune tematiche fondamentali dell’emancipazione femminile di cui parla anche Carla Lonzi, attivista, saggista e tra le pioniere del femminismo italiano. Nel suo libro “Sputiamo su Hegel – La donna clitoridea e la donna vaginale” (introvabile fino all’anno scorso, ma da poco pubblicato dalla casa editrice “La tartaruga”) si propone una visione della donna che va oltre la percezione comune, mettendo l’accento sulla libertà sessuale (intesa non solo come il dover procreare, ma anche come il poter godere) e sulla lotta come proiezione al futuro.

“L’immagine femminile con cui l’uomo ha interpretato la donna è stata una sua invenzione.”
(Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel – La donna clitoridea e la donna vaginale, pag. 12)

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Nella fotografia “Shoe, Walter Steiger” emerge l’idea di donna dominante nell’immaginario collettivo: una donna sexy, che indossa un tacco dodici perché è nata per essere quello e ambisce ad essere così. Tuttavia questo non è un pensiero femminile: noi non amiamo camminare a dodici centimetri dal suolo, ma ci conformiamo e finiamo per partecipare e condividere la nostra “missione” di compiacere l’”altro”.
Con questa fotografia non serve scrutare il volto del soggetto, della donna stessa, il suo sguardo, i suoi “perché” e i suoi motivi, il suo dolore e la sua gioia; la foto fissa in un bianco e nero glaciale la nostra funzione, esposta come la carne in vetrina dal macellaio. Non c’è umanità nella foto di un piede in una scarpa, eppure esprime in modo limpido e con assoluta chiarezza quello che noi vediamo in una donna.
Da questa visione vorremmo liberarci e vorremmo che fosse solo un ricordo di tempi passati, perché forse di strada ne abbiamo fatta attraverso le nostre battaglie, ma è ancora troppo presto per essere immuni dallo stereotipo della donna-oggetto, della donna velina, sempre pronta a ballare, saltellando coi suoi tacchi sulle scrivanie, compiacendo attraverso il proprio aspetto.
Anche la scelta del bianco e nero esprime la totale mancanza di emozioni: i colori danno alle immagini vita, sensazioni, umori, amore e storia.
La scelta del bianco e nero, quindi, rende all’osservatore un messaggio chiaro: egli è legato all’oggetto così come il piede femminile è legato al suo tacco 12.

 

“Accogliamo la libera sessualità in tutte le sue forme, perché abbiamo smesso di considerare la frigidità un’alternativa onorevole”,
(Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel – La donna clitoridea e la donna vaginale, pag. 15)

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È possibile nella contemporaneità invertire le parti, i ruoli? Se non possibile invertirle, allora mischiarle, anche seguendo il caso?
Nella fotografia “Amica” una donna allaccia una scarpa ad un’altra donna. Guardandola, non viene in mente che possa essere, ad esempio, una commessa di un negozio di scarpe che aiuta una cliente; l’intimità della foto va oltre e crea un messaggio per chi guarda che, in questo caso, si lega al gesto. Amanti? Complici? Non lo possiamo sapere, ma avvertiamo comunque qualcosa che ci fa dubitare delle nostre certezze.
Questo perché solo la fotografia riesce a trasmettere in un unico istante tante tematiche che, in uno scritto, sarebbero citate una per volta per favorirne la comprensione. La fotografia e il suo fruitore sono, in questo modo, “contrassegnati dalla stessa immobilità amorosa o funebre, proprio in seno al mondo in movimento”: sono uniti, la prima influenza simultaneamente la seconda.
In questa foto, in particolare, si evince che la libertà sessuale della donna non riguarda solo la sua libertà sessuale col sesso maschile, ma libertà totale, in cui anche l’omosessualità è accettata.
La libertà, in questo senso, non è e non può essere solo uno spicchio offerto di una torta, essa dev’essere totale, una torta tutta per noi. 

“La forza dell’uomo è nel suo identificarsi con la cultura, la nostra nel rifiutarla.”
(Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel – La donna clitoridea e la donna vaginale, pag. 18) 

Se ciò che si vuole ottenere è la libertà, ma totale, serve un cambiamento: per ottenerlo si rifiuta una realtà oppressiva, che comprime la nostra identità.
Nella fotografia “Il muro di Berlino” una donna sembra volgere le spalle ai muri, alle case, alle nuvole, al tempo: scappa, rifiuta una cultura disegnata dall’uomo, volge lo sguardo al futuro con occhi di ghiaccio. Vive in un mondo reale, scarno, tuttavia la fierezza dello sguardo supera ogni tempo, spazio, confine e paese.
Le donne guardano avanti, con fame e con rabbia, sapendo che esse hanno la forza e la capacità di affrontare qualsiasi lotta.

Volevo ringraziare voi uomini che, come leggiamo sui libri di storia, ci avete consentito, settant’anni fa, di poter votare. Ovviamente per le nostre scelte nell’urna chiederemo consiglio a voi, visto che siete così saggi.
Volevo ringraziarvi di averci concesso di poterci separare e divorziare, e di darci, forse, la possibilità di ricostruirci una vita, invece di essere umiliate e uccise, con il pretesto del “delitto d’onore”.
Volevo ringraziare questa società di averci concesso la libertà di poter avere o non avere, di potere volere o non volere, un figlio, senza essere massacrate dalle mammane.
Volevo ringraziarvi se avete fatto le quote rosa e le assunzioni agevolate del personale femminile, per poter far accedere anche noi ad un posto di lavoro che ci renda autosufficienti.
Adesso, però, io mi domando: ma per tutte queste concessioni, devo ringraziare chi?
La società?
La politica?
Voi uomini?

E allora concludo, utilizzando le stesse parole di Carla Lonzi, ma in chiave di domanda:
“Comunichiamo solo con donne”(?).