Ad Cadornam Oratio

L'arte di perdere la guerra

di Francesca Cherubini

Foto B1 Cadorna

In questa orazione contro il generale Luigi Cadorna (1850- 1928) e la sua strategia di guerra si prova ad imitare lo stile ciceroniano delle Catilinariae, motivo per cui tutte le accuse vengono rivolte direttamente al generale della Prima guerra mondiale. 

<<Per quanto ancora, generale Cadorna, avresti continuato? Per quanto ancora avresti logorato i difensori della nostra patria? Qual è stato il tuo limite? La sconfitta? E se non avessi perso, quanta sofferenza avresti continuato a portare agli uomini sotto il tuo comando, sotto la tua responsabilità? Sei da sempre stato destinato alla vita militare; prima di diventare generale, fosti un soldato semplice, e solo dopo anni di acquisizioni di grado divenisti ciò che sei ora. Ti sembra davvero giusta la noncuranza del benessere e della salute nei confronti di coloro di cui avresti dovuto occuparti? Come avresti reagito ad un trattamento simile quando eri un soldato semplice?  

Non metto in dubbio il ruolo del generale in guerra, ma mi chiedo se i propri soldati vadano realmente trattati così male. Mi rivolgo a te per analizzare ed esporre il tuo pensiero: tu credi nell’attacco ad oltranza, non ti preoccupi delle condizioni che vengono affrontate, pensi che, nella continuità della guerra, la vita dei tuoi soldati e lo stato in cui essi versano siano senza valore, e su questo basi le tue strategie di battaglia: fin dai tuoi primi incarichi hai usufruito di un armamento inadeguato e di condizioni non adatte alla vita di trincea. In molte occasioni hai imposto al tuo esercito una tattica caratterizzata da attacchi frontali inefficaci ed un durissimo regime sul fronte; questa tua strategia, oltre che da quello morale, fu un problema dal punto di vista economico-militare, in quanto l’inefficienza degli attacchi divenne alla lunga costosa e controproducente. A prova di quanto affermo ci sono le battaglie dell’Isonzo: una serie di undici combattimenti in cui sono stati raggiunti molti obiettivi insignificanti e solo due di media importanza; tu però non fosti mai in grado di portare a casa un solo risultato rilevante, anzi dopo ben due anni di strazianti lotte, iniziate nel 1915 con poco più di un milione di uomini ed equipaggiamenti inadatti, tu fosti sconfitto dalle truppe austro-tedesche. Mi riferisco alla disfatta di Caporetto.   

I posteri parleranno di te e del tuo operato: “La carneficina è del resto ancora lontana dal giungere al termine. Sull’Isonzo, Cadorna, incurante del logoramento cui sottopone l’esercito combattente, persevera nella tattica delle spallate (A. Astori e P. Salvadori, Storia illustrata della Prima guerra mondiale, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze 1999, p. 124). La stessa Italia sembra volersi rivolgere a te per domandare come vuoi giustificarti con essa per le tue azioni; azioni che hanno permesso al nostro nemico di infliggere morte e sofferenze inutili a coloro che erano stati chiamati a difendere la Nazione. Le forze armate di domani definiranno la tua sconfitta come “il grande insuccesso nella storia dell’esercito italiano (esercito.difesa.it).  

Voglio parlare ora del primo anno di scontri; mi chiedo come mai tu, che in quanto generale avresti dovuto cercare di ridurre al minimo il rischio di danni per i tuoi sottoposti, hai scelto tale strategia di guerra contro l’impero austriaco e mi chiedo anche perché hai deciso di prolungare gli scontri diretti, nonostante l’inadeguatezza delle attrezzature e le problematiche di un’estenuante vita in trincea. Ti rendi conto di aver sfiancato e sacrificato gli uomini che hanno combattuto al tuo comando? Egregio generale, ti rendi conto di quanto in realtà ti interessa della sopravvivenza delle tue truppe? Ti curi molto dei tuoi interessi, vuoi raggiungere il livello dei tuoi avi, senti il peso di un padre decorato (Gen. Raffaele Cadorna al comando della battaglia per la presa di Roma nella breccia di Porta Pia), però non ti importa d’altro: hai richiesto di fucilare i soldati che non uscivano dalle trincee, li hai chiamati disertori e li hai incolpati della disfatta, per di più, hai affermato che per battere una mitragliatrice basterebbe inviare truppe di uomini di numero superiore a quello che l’arma può abbattere; ciò evidenzia lo scarso valore che tu dai alla vita di chi affronta la guerra per la tua e per la nostra patria. Non puoi dire il contrario di quanto sostengo, ci sono difatti telegrammi firmati a tuo nome ed indirizzati al comando generale, telegrammi in cui ordini le fucilazioni sommarie. Facesti uccidere coloro che non volevano uscire dalle trincee, le cui motivazioni erano dettate da un morale logorato per le pessime condizioni igienico-sanitarie e dalla certezza di morire. Hai ritenuto questo senso di impotenza provato dai soldati come diserzione e per questo li hai minacciati di morte.   

Sulla base di tutte le accuse è possibile affermare che sei tu la causa della strage di Caporetto, anche perché nessun altro generale ha agito come te; il tuo successore Armando Diaz, per esempio, fu molto più umano nei confronti degli uomini e adottò una linea di comando più rispettosa verso i soldati e la loro vita. Si può quindi dire che tu sei uno dei generali più conosciuti d’Italia, ma si può anche dire che sei quello che ha commesso le azioni più deplorevoli.  

Credo che tu ti sia meritato l’esilio conseguito ai tuoi comportamenti; penso inoltre che tu debba riflettere un po’ e che debba realizzare chi sia stato effettivamente a permettere il disastro di Caporetto nel 1917. A causa della disfatta, il termine “caporetto” verrà sempre, d’ora in poi, utilizzato come sinonimo di “sconfitta”>>.  

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