Nella vecchia fattoria
di Luca Gragnoli
Immagina di avere davanti ai tuoi occhi una bella bistecca alla fiorentina, incorniciata da rametti sottili e pungenti di rosmarino che fondono il loro profumo con quello di patate al forno. Nella mano destra, cari lettori, brandite un coltello come una spada. Qual è la più naturale reazione?
Ora immaginiamo un magnifico leone: Cecil, di tredici anni, gioiello dello Zimbabwe. Nell’arida savana anche un bracconiere. Si sente farsi strada tra l’erba bassa. Improvvisamente uno sparo. Cecil cade, morto. Del fumo esce dal fucile dell’uomo. Qual è ancora una volta la reazione?
Oggi, un essere umano vede più animali a tavola che altrove: papere, polli, maiali, mucche. Le ricette possibili sono infinite: fegato con la cipolla, pollo coi peperoni, stinco di maiale, carne alla pizzaiola… o delle semplici polpette. Quale che sia la ricetta, la carne ne è la protagonista.
In realtà, gli animali sono anche nell’industria cosmetica, i conigli vengono ingabbiati e i loro occhi inzuppati di prodotti per testarne gli effetti. I conigli, a differenza di noi umani, non hanno i condotti lacrimali, non sono perciò capaci di rimuovere il cosmetico. Soffrono fino a che non vengono uccisi. Il trattamento nelle “fattorie” non differisce di molto. I polli vengono riposti in uno spazio pari a un foglio di carta A4, i loro becchi vengono tagliati. La mucca della fiorentina che amiamo, quindi, ha passato una vita non diversa (anzi forse peggiore) di quella di Cecil.
Eppure, le percezioni che ne abbiamo sono completamente diverse. Perché?
Il filosofo australiano Peter Singer ha avanzato una risposta: specismo. Dare preferenza alla nostra specie (e ad altre come il nostro cane domestico o quel maestoso re della savana) su altre, assente ogni differenza moralmente rilevante. L’analogia del filosofo, nel saggio Liberazione Animale, è audace: ci fu un tempo in cui la maggior parte degli americani pensava che fosse normale se non giusto, che alcuni avessero il dominio sugli altri sulla base di una differenza moralmente irrilevante – il colore della pelle. Come oggi la gente guarda con orrore a quei ragionamenti razzisti, così Singer crede che verrà un tempo in cui i nostri discendenti guarderanno con orrore ai nostri ragionamenti specisti. Quindi, Singer suggerisce di non fare a un animale ciò che non volessi fosse fatto a te!
Sei d’accordo? Sei disposto a spazzar via dai tuoi pasti ogni traccia di animale sapore? Se no, perché? Quale credi che sia la differenza moralmente rilevante tra noi e animali non-umani? Forse l’intelligenza?
Certo è che la nostra intelligenza supera quella di ogni altro animale (siamo Homo sapiens dopotutto!), ma dovrebbe l’intelligenza essere un modo per decidere come vieni trattato? Persone cognitivamente disabili ricevono lo stesso trattamento che ricevono persone brillanti. Perciò, se è sbagliato discriminare all’interno della nostra specie in base all’intelligenza, perché dovremmo farlo con altre specie? Un pollo è empiricamente più intelligente di molti esseri umani, e se è giusto trattare gli esseri diversamente in base alla loro intelligenza, perché non trattiamo i polli come nostri simili?
Ok, allora forse è perché siamo più potenti, come crede Carl Cohen, il filosofo americano che si vanta di essere un “fiero specista”? Dato che siamo in cima alla piramide degli esseri, possiamo fare quello che ci pare. Ma, immaginando di non essere noi la specie dominante, saremmo lo stesso d’accordo? Che la forza faccia il diritto è un concetto superato. Perché dovrebbe essere valido per gli animali non-umani?
Ok ok, ma… non è sempre stato così? Dalla rivoluzione agricola del 10.000 a.C., la società umana ha girato intorno a mucche, cavalli, pesci, ecc. vero, ma questi richiami alla tradizione sono sempre sospetti. Che una cosa sia stata realizzata allo stesso modo per millenni non rivela nulla sul suo contenuto morale.
Va bene, ma noi umani abbiamo bisogno di cibo, no? Certo! Questo, tuttavia, non solo non giustifica l’uso dei conigli per testare cosmetici, ma nemmeno il nostro consumo di carne. Sebbene sia vero che dobbiamo mangiare, non è vero che dobbiamo mangiare animali. O meglio, che non dobbiamo mangiarne insensatamente. Già Jeremy Bentham diceva: “La domanda non è “possono ragionare?” o “possono parlare?”, ma “possono soffrire?” La risposta è sì. Mangiare un animale per il solo gusto di farlo o per abitudine quando ci sono altre, ugualmente nutritive opzioni è insensato. Mangiare una mucca quando stai per morire di fame non lo è. La sofferenza per la tua morte, in questo caso, è maggiore della sofferenza dell’animale. Il calcolo utilitarista ti giustifica a mangiarla. Ma ciò non vale per chi oggi abita il mondo industrializzato.
Così, lo splendido Cecil (e la sua tragica morte) come lo splendido agnello pasquale (e la sua tragica morte) rappresentano le ombre dietro quel luminoso rapporto tra animali e animali umani che oggi spinge molti a diventare vegetariani. Se queste ombre mettono a disagio i nostri lettori, si può semplicemente ignorare l’argomento. Ma ignorare le ombre non fa certo risplendere luce, al contrario. Dopotutto, se queste ragioni non valgono, quali valgono?