Madame Bovary e la noia borghese
di Giulia Cundari
Ciò che ero solito amare, non amo più. Mento: lo amo, ma ormai mi annoia!
Noia, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. No-ia: la punta della lingua compie un percorso di due passi: il primo sui denti e il secondo contro il palato.
No-ia.
Era No, semplicemente No al mattino, quando ti alzi sapendo di dover passare interminabili ore a scuola. Era Noietta nello studio. Era Tedio nelle uscite con gli altri. Era Nausea nel dover rimanere a casa da solo. Ma tra le mie braccia era sempre Noia che, in realtà, è una parola strana. In ognuno evoca cose diverse: una parola polisemica, in questo senso. Il problema sorge quando, anziché essere molte cose, diventa tutte le cose.
Nell’ultimo anno ho provato questa nausea Sartriana per tutto ciò che mi circondava, anche quello che prima era motivo di felicità ed entusiasmo: non riuscivo a fare altro che chiedermi “e se invece di star qua stessi là? E se anziché fare questo facessi altro?”
Una condizione assolutamente nuova: abituata a vivere tutto con una passione talvolta ingiustificata, trovavo straniante l’apatia con cui ormai vivevo la vita senza volerlo. Insomma, nel mezzo (speriamo di no, in realtà) del cammin di nostra vita, mi sono ritrovata nella peggiore delle selve!
Poi, in un caldissimo giorno d’agosto, ho avuto la fortuna di imbattermi in un libro che avevo già avuto modo di conoscere, e che ora, finalmente, ho avuto modo di capire: Madame Bovary.
Ma sopratutto, dopo averlo letto, ho anche avuto modo di capirmi. È questa l'inspiegabile e contraddittoria magia della letteratura: un atto di apparente rifiuto e ribellione nei confronti della prosaica realtà - aprire un libro per escapismo - diventa un gesto essenziale per imparare a comprendere meglio - e a riabbracciare - il mondo al di fuori delle pagine. Un libro promette di portarci via, lontano, in un altrove a noi sconosciuto, ma poi ci riporta anche indietro, dandoci una fiaccola per illuminare proprio quell'universo che ci appariva così insensato e inabitabile: la nostra vita. Tutto ciò richiede per forza un viaggio che si fa tutto nella nostra mente, nel nostro io interiore. E quanto ho potuto far tesoro di questo viaggio sarà ora materia del mio canto (anche se sfortunatamente sono stonata).
Ahimè non ci accompagneranno come guide né Virgilio né tantomeno la bella Beatrice, ma Emma Bovary, protagonista assoluta del capolavoro di Flaubert: un personaggio controverso, forse una delle donne più odiate nella letteratura, antipatica e il più delle volte ridicola, eppure - anche se fatichiamo ad accettarlo- così simile a noi in quello che sente, nei vizi e nelle mancanze.
Noi la nostra “duca” la conosciamo così:
“Poiché era quasi vuoto, [Emma] fu costretta ad arrovesciare il capo per bere: con la testa all'indietro, le labbra protese, il collo reclinato, rideva perché non sentiva nessun sapore e, allungando la punta della lingua fra i denti minuti, dava leccatine al fondo del bicchiere.”
Il quadro che dipinge Flaubert è chiaro: una donna insaziabile, incontentabile. Non è mai soddisfatta: cerca sempre qualcosa di più nel bicchiere ormai vuoto. Insegue quello che non esiste, così come farà per tutto il romanzo, schiava del desiderio Fleubertiano per cui si desidera solo ciò che non si può avere, rimanendo così eternamente insoddisfatti. Questa insoddisfazione esistenziale è davvero così lontana da noi? Questo modo di comportarsi di Emma è davvero a noi incomprensibile?
È un comportamento che, in realtà, riguarda appieno la società borghese, che viene travolta da questo sentimento di noia proprio dell’età moderna (così la descrive Flaubert), in cui si cerca di appagare un desiderio inappagabile cambiando elementi superficiali della nostra vita che, proprio in virtù del loro essere superficiali, devono essere a loro volta cambiati in fretta, altrimenti torna la noia. Ed Emma, come noi, è diventata presto schiava di questa catena: noia, desiderio, cambiamento, e poi ancora noia, desiderio, cambiamento.
Molto più degli alti ideali di democrazia e libertà, è nel desiderio di cambiamento che gli individui si scoprono simili, tutti uniti dal fil rouge della noia.
Ormai da tempo il cambiamento non dischiude la sua ragion d’essere nell’appagamento dei bisogni effettivi dell’uomo, questo ormai è scontato, bensì nel puro e semplice desiderio di diversificare; il bisogno è bisogno di cambiare, non tanto del bene cambiato in sé. Emma compra sempre vestiti nuovi, mobili nuovi, cambia spesso città e casa, passa da un amante all’altro. Proprio per questo suo essere superficiale la Bovary è detestata, ma noi non siamo esattamente così? Immersi fino al collo nel consumo capitalista, non compriamo anche noi cose inutili solo perché sì? Non andiamo alla ricerca di vestiti sempre nuovi e di tendenza anche se nell’armadio siamo pieni, dell’ultimo telefono uscito anche se il vecchio funziona ancora?
Quello a cui ci abituiamo ci annoia, e quindi anche Roma -per Emma era la provincia francese - sembra opprimente. Allora dilaga l’isteria collettiva del voler viaggiare, del voler andare via a tutti i costi in posti lontani, diversi. Nell’illusione che in questo cambiamento, magari, potremmo esser diversi anche noi.
Emma sceglie come meta Parigi, ma se mai avesse avuto la possibilità di viverci davvero, ne sono certa, avrebbe detestato anche la Ville Lumière. Perché non sono la città in cui vivi, le cose che fai o che possiedi il problema. Ma è Emma stessa, sono io, siete voi. Cerchiamo solo di cambiare il mondo attorno a noi per divertirci, per scrollarci di dosso quella sensazione di tedio che pesa nella pancia come solo un vuoto mai colmato sa fare. Alla fine del nostro viaggio non incontreremo certo Dio, ma forse troveremo il coraggio di riconoscere che - come lo stesso Flaubert ammise - Emma Bovary c’est moi.
Emma (e dunque noi, a questo punto non dobbiamo più nasconderlo) è descritta come “i marinai che si sentono perduti” di fronte ad un mare calmo, che bacia la spiaggia non con irruenza ma con una malinconica dolcezza. Eppure io, da eterna ottimista, non posso accettare che Schopenhauer abbia ragione. La vita non può essere davvero un pendolo che oscilla tra la noia del mare calmo e il dolore della tempesta. Sarebbe una vita troppo ingiusta, una sofferenza troppo grande perché abbia davvero senso continuare a vivere.
Ma queste parole risuonarono forse, senza che lei se ne accorgesse, come l’eco di una bomba nelle mente di Emma. E per un istante azzerò ogni pensiero, ogni ricordo, ogni momento passato e futuro, immergendosi in quel presente ora così devastante. Anche lei, sognatrice forse più di me, non riuscì ad accettare questa condizione che la vita sembra darci, e decise di togliersi la vita, nella speranza che in quel Paradiso tanto anelato potesse trovare, finalmente, la serenità.
Sorge però un altro problema: io di morire non ne ho affatto voglia, e credo neanche voi. Dunque, che fare?
Ecco che in lontananza, ormai nella fossa più profonda dell’Inferno, si scorge un’altra figura: è Flaubert stesso, che ci ha fatto il favore di scendere dal Cielo degli spiriti sapienti per illuminarci. Però non parla. Ci porge solo un libro, Madame Bovary. Ecco la luce, ecco la soluzione! Me ne sono resa quando, leggendo questo romanzo, ho cominciato a ragionare. Quando sono stata quasi obbligata a scontrarmi con me stessa, ad affrontare la realtà. Per noi, o almeno per me, c’è una sola via d’uscita: l’Arte. Solo l'Arte scuote dall'anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni. Solo l’Arte, quella pulsione che noi uomini abbiamo innata di raccontare e raccontarci, riesce a far dimenticare i soldi che non abbiamo, le cose che non possediamo e quello che non saremo mai. Perché non ci dà il tempo di farlo: ha il salvifico potere di far pensare a noi di noi, senza bisogno di altro. È il nostro specchio, magari è figlia di un’idea, fotografia di un momento: ma è irripetibile, ed è nostra. Mette in luce l’unicità e l’assoluta bellezza che è l’essere umano. Ma sopratutto è capace di farci, banalmente, riflettere. Ecco, ora mi rivolgo a voi, accidiosi lettori: potreste mai annoiarvi di pensare?