Bellezza e corruzione. Il fascino di Dorian Gray
di Ludovica Costantini
Avete mai notato nei cartoni animati quando il protagonista si trova a dover scegliere tra il bene e il male, con un angelo e un diavolo che compaiono accanto a lui per consigliarlo? Anche Dorian Gray vive questo conflitto interiore, diviso tra due influenze opposte che lo guideranno lungo il suo destino.
Ad aprire il romanzo di Oscar Wilde sono proprio queste figure agli antipodi che riflettono sulla bellezza del ritratto di Dorian che il suo angioletto, il pittore Basil, aveva dipinto facendo affascinare proprio il diavoletto, un grande amante dell’estetismo, Lord Henry.
Quel dio dai capelli ricci e biondi, che tanto faceva parlare del suo aspetto nella borghesia londinese, improvvisamente entra nello studio di Basil e si presenta al suo nuovo amico Henry. Il ragazzo è educato con buoni usi e costumi, con un ingente patrimonio, ma soprattutto è affascinante. Il fascino è un pregio che lui, da ingenuo, non aveva mai sfruttato nel modo adeguato. Ecco l’inizio della perdita dell’anima di Dorian.
Il pittore, consapevole che l'amore di Henry per le cose effimere sarebbe stato ammaliante per Dorian, cerca in tutti i modi di ostacolare un possibile rapporto tra i due. D’altronde Basil conosceva appieno il carattere di Henry, e cercava di mantenere sulla retta via il giovane ripetendogli di non farsi influenzare, ma l’angelo riesce solo per poco a trattenere il giovane fuori dallo schiamazzo londinese. Henry per Dorian è magnetico e non resiste al fascino e all’eloquenza del diavolo: un uomo capace di sfruttare il suo charme, esaltando una vita di piaceri effimeri, tra adulterio, alcol e fumo. Dorian inizia a condurre la vita che Lord Henry predicava, cadendo così in un circolo vizioso di passioni distruttive.
«Le buone influenze non esistono, signor Gray. Tutte le influenze sono immorali…immorali dal punto di vista scientifico».
«Perché?»
«Perché influenzare qualcuno significa dargli la propria anima».
Era tutto quello che Basil non voleva, l’angelo difende l’umanità, la gentilezza e la gratitudine, il diavolo, invece, tenta, persuade e devia Dorian.
Henry riesce nel suo intento dando vita a un nuovo Dorian, facendogli sfruttare la sua bellezza e la sua gioventù perché la giovinezza è l'unica cosa che vale la pena di avere. Dorian, ripensando alle parole di Henry, decide di vendere la propria anima. Da questo momento, la voce di Henry diventa la sua guida.
Dorian perde la testa per una vita effimera, che è ricca di piaceri e passioni conducendo così un’esistenza misera e priva di valori. Manca di tutte quelle particolarità che prima lo caratterizzavano. Arricchisce sempre di più le sue esperienze, ma prosciuga sempre di più la sua anima.
La voce malefica che gli rimbomba in testa lo allontana dalla realtà, che invece viene brutalmente messa a nudo dal ritratto. Brutto, scavato e inguardabile tanto che Dorian decide di nasconderlo al mondo. Solo lui poteva vedere l’obroriosità della sua anima sempre più degradata.
Dorian pecca costantemente e il ritratto raggiunge sembianze talmente tremende che anche all’autore del quadro e quel che gli rimaneva di umano, ovvero l’amicizia con Basil, non avrebbero resistito alla verità, che però alla fine emerge, e Basil scopre di aver commesso l’errore fatale. Dorian lo colpisce con una coltellata alla gola.
Basil muore e Dorian dorme tranquillo. Basil è morto. Ciò non lo preoccupa, però, quella voce tentatrice che ha preso il sopravvento nella sua vita lo sta esaurendo; Dorian non resiste più, ma il suo aspetto rimane sempre incantevole.
Il tempo nella Londra Vittoriana (XIX sec.) scorre, ma non nella casa del giovane Dorian. Una stanza dell’ultimo piano di quella dimora una notte sì illumino e finito il bagliore, aperta la porta serrata, il servitore di Dorian, vide sul muro il magnifico ritratto di Dorian, da anni scomparso e a terra una figura inguardabile che impersonificava la voce tentatrice: il corpo orribile di Dorian appare quasi irriconoscibile.
Ha vinto l’angelo o il diavolo? In fin dei conti sono morti entrambi.
Chi è il vero cattivo? Forse l’estetismo? L’estetismo è, di certo, il motore di questo romanzo, d’altronde al mondo c'è una sola cosa peggiore del far parlare di sé ed è il non far parlare di sé.
Il vivere una vita umanamente frivola è la scelta che Dorian fa per viverne una piena di storie da raccontare. Ma oltre a quello che Dorian mostra di essere, lui cosa prova? O meglio, lui cosa è? Se si vive come ombra degli altri, se si vive in nome e per il giudizio degli altri, si può davvero dire di vivere veramente? Dorian è un moderno Ulisse, senza gloria né meta: è solo un bellissimo nessuno che vaga perso nei bar di Londra. Un personaggio senza carattere e personalità. Schiavo delle passioni, vittima della bellezza che pure è il suo più grande vanto.Il suo aspetto è la sua schiavitù ma lui al tempo stesso è schiavo delle sue passioni e dei suoi piaceri.
Vendica te tibi, dice Seneca al suo Lucilio per invitarlo a sottrarsi agli influssi del mondo esterno e a raggiungere la libertà. Dorian compie la scelta opposta, cedendo alle tentazioni esterne e alle lusinghe, restando avvinghiato in ciò che a prima vista gli era parso il simulacro della libertà.